La rivoluzione digitale?
È qui, ora, nessun dubbio.
Anzi, a detta di molti, siamo proprio nell’anno che passerà alla storia come spartiacque e vedrà l’evoluzione e la rivoluzione del modo in cui percepiamo e utilizziamo tutto ciò che corre sul filo del digitale.
Il 2022 è destinato a segnare la piena definizione del già popolarissimo Web3 e la sua consacrazione ufficiale a nuova era di internet.
Cosa intendiamo, però, esattamente quando parliamo di Web3?
È uno dei temi più appassionanti e popolari del momento in ambito digitale, certo, ma i suoi contorni appaiono ancora sfumati e poco chiari.
Cosa c’è dietro la definizione di “web decentralizzato basato su blockchain”?
Diceva il saggio (o forse era Victor Hugo?): “L’avenir est une porte. Le passé en est la clé” (Il futuro è una porta. Il passato è la chiave).
Proviamo, allora, ad usare questa chiave – che non è proprio crittografica, ma quasi! – e ripercorriamo i passi che hanno portato alla nascita del Web3.
È un passaggio fondamentale per capire l’impatto che il nuovo web potrà avere sul nostro futuro e, al tempo stesso, comprendere meglio la portata della tecnologia blockchain e il rivoluzionario cambio di paradigma che introduce.
Prima di tutto, dobbiamo avere ben chiare caratteristiche, ruoli e rapporti delle parti in gioco: web, internet e blockchain.
Ad esempio, web e internet sono due termini interscambiabili?
E la blockchain dove e come si colloca rispetto ad essi?
Esploriamo questi concetti, che sono in realtà molto semplici da chiarire.
Iniziamo da web e internet: sono la stessa cosa? Potremmo, per amor di varietà, parlare di Internet3 invece che di Web3?
Assolutamente no, lo sai!
C’è una differenza sostanziale, possiamo anzi dire che uno è parte dell’altro.
Se internet, infatti, è la rete, la “via di comunicazione”, l’infrastruttura tecnologica composta da canali, server e protocolli, che consente ai dati di viaggiare, il web è solo una delle tante modalità che Internet offre per lo scambio di questi dati.
Per intenderci, il web funziona come la posta elettronica.
Anzi, prendiamo proprio questo esempio per capire meglio: per poter funzionare, l’e-mail utilizza internet, non il web!
L’esistenza di internet è imprescindibile per il funzionamento di web e posta elettronica, ma questi sono due servizi che internet offre del tutto indipendenti fra loro.
Ma allora, dirai, il web cos’è?
È il servizio internet che gestisce il trasferimento e la visualizzazione dei dati in forma di ipertesto, ossia che li traduce nella forma che possiamo leggere sul nostro browser.
Internet e web non nascono insieme.
Internet è figlio della guerra fredda e diretto discendente di Arpanet, creato nel 1969 come strumento militare per la condivisione di soluzioni tecnologiche innovative.
Il web, invece, nasce nel 1989 dal genio del celeberrimo Timothy John Berners Lee, con lo scopo di consentire a tutti i ricercatori del CERN di Ginevra di connettersi e scambiare informazioni, richieste e risultati scientifici. Qui puoi dare ancora un’occhiata al sito da lui creato, il primo al mondo, tuttora online: http://info.cern.ch/
Con un intento lodevole il secondo, meno nobile il primo, entrambi gli strumenti rispondono al medesimo obiettivo strategico: rendere possibile la condivisione di informazioni e dati per via digitale.
Fatte queste premesse, ti è sicuramente più chiaro perché quando si parla di blockchain senti spesso l’espressione “Internet of Value”.
La blockchain, in effetti, può essere descritta come una versione particolare di internet: altro non è che una rete informatica, anche se eccezionalmente evoluta.
Questa rete è formata da nodi (persone e computer), che hanno il compito e il potere di gestire e aggiornare il contenuto di un registro pubblico distribuito, attraverso la creazione di blocchi che vengono progressivamente uniti l’uno all’altro in una catena sequenziale (…sì, esatto, visto com’è facile sciogliere il significato della parola block–chain?! Per approfondire clicca qui
La blockchain, però, è un internet molto speciale, perché:
Quindi la blockchain ha tra i suoi requisiti fondamentali:
Queste sono esattamente le caratteristiche fondamentali del Web3 e ciò che lo contraddistingue rispetto alle precedenti versioni del web.
In sintesi, quindi, possiamo dire che la blockchain è il fondamento tecnologico e il primo passo, con focus sul valore, che ha permesso la creazione del Web3.
La blockchain è la versione di internet che rende possibile il servizio del Web3.
Abbiamo dato uno sguardo al presente e al futuro.
Ora sappiamo che il Web3 è lo strumento che permetterà lo scambio di dati, informazioni e valore in rete in modo rivoluzionario e cioè decentralizzato, pubblico e condiviso equamente tra tutti i partecipanti al sistema.
Ma prima?
Quale percorso ci ha condotti sin qui?
Il web è frutto di una rivoluzione puramente tecnologica?
Nel suo libro “The Game”, Alessandro Baricco invita ad invertire la prospettiva.
Nessuna rivoluzione è solo tecnologica: ogni rivoluzione è prima di tutto mentale e culturale.
Al Web3 infatti siamo arrivati gradualmente, passo dopo passo, mentre cercavamo una strada per soddisfare una nuova esigenza collettiva, nata in modo sommesso ma impellente: quella di navigare in modo agile una realtà in perenne movimento e comunicazione, dove informazioni, dati, valori vengono trasmessi in modo fluido, rapido e non necessariamente lineare.
Il primo tentativo di rispondere a questo nuovo bisogno e trasferire dati in modo rapido e sicuro da un individuo all’altro ha quasi sapore di mito.
Correva l’anno 1967 e il web, il nostro web, non era neppure nella mente dei più visionari.
Fu allora che Alan Shugart, ingegnere di IBM, realizzò il primo floppy disk, destinato a rimanere poi per decenni il più efficiente dispositivo di memoria di massa esterna a nostra disposizione.
Fino agli anni ’90 un sottile disco magnetico in plastica, con un foro circolare al centro, era l’unico strumento in nostro possesso per passare a qualcuno file archiviati sul nostro pc.
Era un piccolo, timido inizio che però richiedeva ancora uno strumento fisico e un passaggio “meccanico” di trasferimento dei dati.
Il vero punto di svolta arriva con l’invenzione di Tim Berners Lee, il World Wide Web, che elimina l’ultimo residuo di fisicità collegando i computer con un protocollo di trasmissione delle informazioni.
La prima generazione del web era fatta di siti completamente statici, che trasmettevano informazioni di carattere aziendale e contenuti amatoriali erogati da un file system statico. Creati da esperti webmaster, i primi portali online erano pensati per una fruizione totalmente passiva da parte degli utenti, alla stregua di semplici brochure trasportate su desktop.
Eravamo nell’epoca del “read-only-web”, una rete di sola lettura basata su un concetto di centralizzazione totale e sull’impiego di due soli strumenti, il browser per l’accesso ai siti e i motori di ricerca per reperire le fonti di informazione.
Questo web, nato nel 1991, ha conosciuto una crescente diffusione di massa fino al 2004.
Ma non è il nostro web.
Della prima versione resta ancora oggi, sostanzialmente intatta, la struttura, tuttora basata sul concetto di computer autonomo.
Cosa significa?
Significa che la maggior parte dei dati sono ancora archiviati e gestiti in modo centralizzato su server istituzionali, locali o remoti, o direttamente sui nostri computer.
Anzi, il web 2.0 ha introdotto, a partire dal 2001, un progressivo ulteriore accentramento del controllo della rete nelle mani di una cerchia ristretta di big tech, come Google, Microsoft, Amazon e Facebook.
Certo, la rete è diventata molto più interattiva, partecipativa e sociale, con la possibilità di interazioni su scala mondiale, ma ogni rapporto continua ad essere mediato da piattaforme centralizzate.
Il web 2.0 ha visto la nascita, già nel 2001, della celebre enciclopedia online Wikipedia, di blog, forum e social network che consentono agli utenti di diventare creatori di contenuti e di poterli comunicare e condividere online, di marketplace e piattaforme di e-commerce.
Avere un palcoscenico garantito di visibilità in cambio della perdita di controllo dei nostri dati è, però, un compromesso corretto ed accettabile?
Nella situazione attuale c’è un grande vizio di forma.
Internet è stateless, senza stato.
Non esiste, cioè, un meccanismo nativo che consenta di archiviare quel set di informazioni che l’informatica definisce “stato” e che sono:
In altri termini, il protocollo del web moderno è in grado di gestire e regolare il trasferimento delle informazioni, ma non il modo in cui vengono archiviate.
E quindi è necessario un ente terzo, un intermediario frapposto tra utente e servizio in grado di gestire l’archiviazione.
Il risultato finale di questa lacuna è che l’archiviazione è e deve essere centralizzata e, quindi, l’utente non ha il controllo dei propri dati, ma deve invece accettare di affidarli ad un ente terzo.
Si pone cioè un problema cruciale di fiducia.
L’invenzione dei cookie ha risolto solo in minima parte il problema.
Senza dubbio, è uno strumento che ha migliorato infinitamente l’usabilità perché fa sì che:
Ma chi controlla i cookie?
Siamo punto e a capo.
Sono creati, forniti e controllati da gestori di servizi come Google, Amazon, Facebook e via dicendo.
Non solo.
L’esistenza dei cookie ha aperto la strada ad un meccanismo tutt’altro che trasparente.
Internet nasce intorno al concetto di condividere informazioni in modo gratuito e il suo impiego da parte degli utenti ruota ancora principalmente intorno a quest’idea.
La maggior parte delle persone non è disposta a pagare per avere accesso a contenuti online.
D’altro canto, creare contenuti richiede tempo, energie e, soprattutto, una gestione sostenibile anche da un punto di vista economico.
E quale soluzione è stata adottata nel tentativo di mantenere un equilibrio tra questi due aspetti?
L’introduzione della pubblicità o, meglio, di una pubblicità mirata, basata sul comportamento degli utenti e quindi sulla vendita dei nostri dati.
In sintesi, parlando in modo chiaro – e forse un po ‘ brutale -, barattiamo le nostre informazioni personali con i servizi “gratuiti” che ci vengono offerti sul Web.
È una dinamica decisamente poco limpida e poco rispettosa della privacy e della riservatezza di chi utilizza il web.
Nessun dubbio su questo.
Ed è dal graduale crescere di questa consapevolezza che ha iniziato a prendere forma l’idea del Web3.
Il Web 1.0 ha introdotto un incredibile strumento di comunicazione e condivisione delle informazioni.
Il Web 2.0 ha saputo renderlo “sociale”, rendendo possibile l’interazione tra gli utenti.
Al Web3 è assegnato il compito di un ulteriore rivoluzionario salto, necessario per risolvere la maggiore criticità del momento: rendere trasparente e davvero peer-to-peer lo scambio di valore.
Siamo agli albori della terza generazione del web.
Il concetto che ne è alla base è oggetto di discussione tra specialisti di settore e appassionati della materia almeno dagli inizi del nuovo millennio.
E viene descritto in un’infinità di modi: come un’idea, un movimento, la più recente evoluzione del web o ancora l’unione, dirompente e innovativa, degli elementi migliori delle due tecnologie precedenti.
Già Tim Berners Lee aveva cercato di circoscriverne contorni e caratteristiche, descrivendolo come “web semantico”. Lo immaginava come un ambiente “smart”, in grado di tradurre il contesto e il valore semantico di ogni pagina e documento in metadati comprensibili a software e motori di ricerca.
Era il sogno di un web reso accessibile anche alle macchine, messe in condizione, per la prima volta nella storia, di riconoscere il contenuto dei siti.
Da allora, il suo nome si è evoluto, di pari passo con il suo significato.
Oggi parliamo di Web3, espressione coniata ufficialmente nel 2014 da Gavin Wood, co-founder di Ethereum e di Web3 Foundation: una rete pubblica, condivisa e decentralizzata basata su blockchain.
Tutto chiaro?
Vediamo meglio insieme cosa si intende con rete decentralizzata.
Il Web3 realizza il sogno di un web non più basato sulla struttura client/server.
I dati e le informazioni sensibili non saranno più, come avviene oggi, affidati ad enti centrali, che ne hanno in carico la gestione e in cui dobbiamo necessariamente riporre la nostra fiducia, ma verranno invece archiviati su rete blockchain (se stai muovendo i primi passi nell’universo blockchain, puoi approfondire principi e meccanismi fondamentali della tecnologia qui ).
Avremo un web pubblico, trasparente, condiviso e, altro dettaglio fondamentale, resistente alla censura.
Prima di tirare le somme, ricapitoliamo gli step fondamentali nella storia del web.
Ecco, in sintesi la rotta che stiamo percorrendo e le opportunità per gli utenti:
Web 1.0 ⇒ accesso ad un archivio di contenuti statici e non modificabili
Web 2.0 ⇒ possibilità di inserire contenuti e interagire
Web 3.0 ⇒ pieno controllo dei servizi e delle infrastrutture di base grazie alla blockchain
La blockchain è un registro distribuito e condiviso su scala globale.
In quanto tale, è uno degli strumenti più potenti oggi a nostra disposizione in termini di trasparenza, sicurezza e privacy.
Poter applicare questa tecnologia al web significa innovare profondamente il modo in cui dati, informazioni personali e contenuti che condividiamo vengono gestiti.
Significa introdurre nel sistema un’innovativa infrastruttura di governance.
Cade la necessità di affidare i nostri dati ad intermediari ed enti centrali che ne detengono il controllo e diviene invece possibile archiviarli in più copie sulla rete blockchain di computer peer-to-peer, una sorta di sistema operativo universale che funziona in modo totalmente corretto, trasparente e tracciabile grazie alla condivisione e al consenso di tutti i partecipanti e all’esecuzione di protocolli creati ad hoc, gli smart contract (a loro volta pubblici, consultabili e verificabili)
L’obiettivo fondamentale di questo cambio di paradigma?
Riconsegnare il web nelle mani degli utenti e restituire loro il controllo sulla gestione dei propri dati.
Come funzionerà dal punto di vista tecnico?
Fondamentalmente, il web3 modificherà la struttura dei dati nel backend di internet per introdurre esattamente quello che mancava alle versioni di web che abbiamo utilizzato sino ad oggi: un livello di stato universale, in cui ogni set di dati e contenuti viene gestito secondo un rapporto peer-to-peer da tutti i singoli nodi della rete blockchain, senza intermediari e senza possibilità di manomissione.
Ogni sito web o identità verrà caricato all’interno di un blocco di una rete blockchain e sarà così accessibile da milioni di wallet.
Diventerà pubblico, inalterabile, non oscurabile o censurabile, mantenendo e tutelando al tempo stesso privacy e anonimato/pseudonimato degli utenti.
Cerchiamo di capire meglio dove ci conduce in termini pratici questo step rivoluzionario.
A titolo di esempio, consideriamo alcuni ambiti dove il suo impatto sarà immediato e particolarmente evidente.
1. Identità digitale
Con l’avvento di un web fondato su tecnologia blockchain, verrà meno, come abbiamo accennato, la necessità di un ente terzo che funga da intermediario nella gestione dei dati.
Non avremo così più bisogno di credenziali distinte per accedere ai singoli servizi e provider, ma potremo utilizzare un’unica identità digitale, che da sola ci darà accesso al web in modo certificato, in piena autonomia e nella tutela della nostra privacy.
2. Unicità dei beni
Per sua stessa natura, il mondo digitale prevede la replicabilità pressoché infinita dei beni, dei documenti e delle immagini che ne fanno parte.
Grazie alla blockchain e a strumenti come criptovalute e Non Fungible Token, gli asset e le unità di valore portate su Web3 recuperano ora il loro carattere di beni unici e non riproducibili.
Diviene possibile proteggerne e documentarne in modo certo e univoco caratteristiche fondamentali, come l’originalità, la proprietà, la storia e dunque il valore.
3. Rapporti tra utenti
Abbiamo già sottolineato la grande opportunità di un rapporto tra utenti finalmente peer-to-peer a tutti gli effetti.
Potresti obiettare che in alcuni contesti questo già avviene. Ma ne sei sicuro?
Purtroppo non è così!
Qualsiasi operazione sul web oggi prevede la presenza di un intermediario.
Prendiamo ad esempio le transazioni bancarie.
Puoi accedere al tuo conto online, dare ordine di bonifico e la cifra arriva al destinatario.
Ma è uno scambio da utente ad utente, senza intermediari? Assolutamente no!
Perché il tuo bonifico arrivi a destinazione, la banca deve accettare la transazione: potrebbe anche decidere di chiedere spiegazioni e bloccare il denaro in uscita o in ingresso.
4. Sicurezza
Oltre a garantire la proprietà e la riservatezza delle informazioni, la gestione decentralizzata propria del Web3 assicura un livello di sicurezza decisamente maggiore rispetto al web attuale.
Oggi corrompere dati su un server è come violare il sistema di sicurezza di una casa o di una banca: per quanto solido possa essere, basta trovare lo strumento giusto e il gioco è fatto!
Il Web3, al contrario, grazie alla blockchain, è “distribuito”, cioè progettato in modo tale che ogni tentativo di manomissione deve agire in modo contemporaneo su più case, più computer e “bucare” nello stesso momento punti specifici, distribuiti su tutta l’applicazione.
Un’impresa che è altamente improbabile, se non impossibile, riuscire a realizzare.
Agli occhi di tanti appassionati, esperti, investitori il Web3 è il volto prossimo futuro del web.
È la chiave di volta che permetterà di porre le fondamenta di un approccio rivoluzionario alla rete, fondato su interazioni peer-to-peer, senza alcun intermediario, e su concetti come la libertà di espressione e il pieno controllo dei dati personali e dei propri beni fisici e digitali, senza l’incessante processo di inquadramento e indicizzazione di web crawler, spider e robot.
Un approccio che sarebbe impensabile senza la tecnologia blockchain, che rende possibile:
C’è anche chi, naturalmente, meno visionario o semplicemente più scettico verso l’impatto delle nuove tecnologie, ne minimizza la portata e riduce il Web3 ad operazione di marketing, vuota di ogni reale elemento rivoluzionario, o addirittura mero tentativo di speculazione, prima di tutto politica ed economica, da parte di grandi investitori ai danni di governi e Big Tech.
È assolutamente inequivocabile, ad esempio, la dichiarazione d’intenti che campeggia nella homepage del sito nato appositamente per raccogliere tutti gli aspetti del nuovo web che suscitano diffidenza “Keep the web free, say no to Web3“. Per i suoi autori, produrrà soltanto una società ancora meno equa, con disparità sociali ed economiche ancora più accentuate di oggi.
L’epoca in cui il Web3 diventerà un’acquisizione mainstream è ancora lontana, ma ciò che oggi conta davvero è conoscere le coordinate e la portata di una rivoluzione che è ormai alle porte ed essere pronti a muoversi strategicamente perché il web 3 diventi una risorsa, lo strumento per un’evoluzione “democratica” e decentralizzata e i principi enunciati dai suoi primi sostenitori non restino utopia.